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Area Archeologica di Tharros

Le rovine dell’antica città di Tharros, fondata nell’VIII secolo a.C. e abbandonata nell’XI d.C., sorgono nella propaggine meridionale della penisola del Sinis, nel territorio di Cabras e rappresentano una delle più rilevanti e suggestive eredità archeologiche del Mediterraneo
La città di Tharros, ubicata all’estremità meridionale della Penisola del Sinis, nella località di San Giovanni, venne fondata alla fine dell’VIII sec. a.C. o nel VII dai fenici in un’area già frequentata in età nuragica. Le rovine dell’antica città sorgono nella propaggine meridionale della penisola del Sinis, nel territorio di Cabras: un anfiteatro naturale, affacciato sul mare e delimitato dall’istmo di Capo san Marco e dai colli della borgata di San Giovanni di Sinis e di su Murru Mannu (in sardo "grande muso"), in cima al quale si trova la testimonianza più antica, i resti del villaggio nuragico, abbandonato prima dell’arrivo dei fenici. Resti di due nuraghi spuntano anche sul promontorio di San Marco (uno, detto Baboe Cabitza, nella parte più alta del promontorio, l’altro presso l’insenatura di Sa Naedda) mentre un altro è stato ipotizzato localizzato alla base della Torre di San Giovanni, una delle tre torri oltre alla "Torre Vecchia" (o di S. Marco) e la torre del Sevo (Turr’e Seu), innalzate, tra il XVI e il XVII secolo su iniziativa della Corona di Spagna, per proteggere le popolazioni locali dalle incursioni dei pirati e dei corsari barbareschi che provenivano dal vicino Nord-Africa. Le eredità fenicie sono due necropoli e il tofet, santuario cimiteriale dove erano deposte le urne contenenti i resti incinerati di neonati e animali sacrificati. Con l’avvento cartaginese, all’incinerazione fu affiancata l’inumazione, furono riusate le sepolture a fossa fenicie e aggiunte tombe "a camera", segnalate da steli con immagini delle divinità Baal Hammon e Tanit. Proviene proprio da queste tombe la maggior parte dei numerosissimi manufatti (ceramiche, terrecotte, gioielli, amuleti, scarabei) che oggi si trovano custoditi presso i maggiori musei sardi, italiani e stranieri, recuperati in occasione degli scavi regolari e soprattutto clandestini che, almeno dal 1830, hanno interessato le necropoli tharrensi. Sotto il dominio punico inoltre i quartieri di Tharros, tra cui quello artigianale specializzato nella metallurgia del ferro del Montiferru, vengono organizzati "a terrazze" sulla collina di San Giovanni, da cui partono anche le mura difensive della città fortificata. Prima della conquista romana (238 a.C.) vengono eretti edifici civili e di culto, tra cui il "tempio delle semicolonne doriche", una struttura in parte ricavata nel bancone naturale di roccia, in parte costruita con grossi blocchi squadrati. Tale monumento, in gran parte smontato in età primo-imperiale, doveva essere costituito da una grande piattaforma gradonata al culmine della quale doveva ergersi un tempietto o un altare. Nel "tempietto K" invece, costituito da portico e altare con cornice a gola egizia, spicca il reimpiego di due blocchi con incise lettere semitiche, pertinenti a un probabile preesistente "tempio delle iscrizioni puniche". Affascinante è il tempio a pianta di tipo semitico, delimitato in tre lati su quattro da pareti di roccia, al centro del quale si trovava un recinto a colonne (peristilio), il cui pavimento è decorato da un mosaico policromo. A questi si aggiungono il tempio di Demetra che deve il nome a un ambiente dove furono rinvenute due terrecotte riferite alla dea, e il tempio tetrastilo, affacciato sul mare, dal quale svettano due colonne ricostruite, su una delle quali è collocato un capitello di ordine corinzio-italico appartenente al tempio. Molti "pezzi" dei templi sono stati reimpiegati nel corso degli anni nella costruzione di altri edifici, tra i quali per esempio la basilica di Santa Giusta. Nella successiva età imperiale la città si trasforma notevolmente. Viene effettuata una imponente risistemazione urbanistica che prevede l’organizzazione secondo schemi ortogonali del quartiere di Su Murru Mannu; attorno al II secolo d.C. le strade vengono dotate di una pavimentazione in basalto e viene realizzato un sistema fognario molto articolato per lo smaltimento delle acque bianche. Vengono edificati numerosi edifici pubblici monumentali, tra cui tre impianti termali, situati nella parte centrale della città, a poca distanza l’uno dall’altro. Tali edifici, realizzati in laterizi, erano dotati di spogliatoi, ambienti riscaldati artificialmente e altri in cui potevano farsi dei bagni freddi, in vari casi decorati con mosaici policromi. Ancora ad età imperiale deve attribuirsi l’acquedotto i cui resti sono in parte visibili lungo la strada moderna che conduce agli scavi; a questo viene connesso il cosiddetto castellum aquae, un grande edificio posto al centro della città, all’incrocio tra le due principali arterie stradali, serbatoio di distribuzione, “impermeabilizzato” e suddiviso in tre navate da pilastri; davanti ad esso sono stati riconosciuti i resti di una fontana monumentale. Prima che la sede episcopale fosse trasferita a Oristano nel 1071, divenuta nel frattempo capitale del giudicato d’Arborea, Tharros subì una lenta decadenza, collegata a incursioni saracene e conseguente spopolamento. Sin dal XVII secolo i corredi funerari delle necropoli furono preda di cercatori di tesori. Non meno deleteri furono alcuni scavi ufficiali del XIX secolo. Nei decenni successivi il saccheggio continuò: per fortuna, il "bottino" finì in parte al British Museum di Londra, parte è nei musei archeologici di Cabras e Cagliari e all’Antiquarium Arborense di Oristano. Dopo gli scavi scientifici ottocenteschi, le indagini ripresero a metà XX secolo, senza mai fermarsi e regalando continuamente nuove scoperte.
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